Il mio viso

riflesso nello specchio
è il passato

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martedì 31 gennaio 2012

Mentre guardavo

fuori dalla finestra scendere piano piano la neve, mi rigirava nella testa un breve verso, potenza dell'web...l'ho trovata! Una vecchia filastrocca delle elementari, chissà di chi, l'autore non l'ho trovato, ma la posto qui:

in effetti fuori sui miei fiori zampettava un uccellino

E' arrivata la neve

Giù dal cielo grigio grigio
zitta zitta
lieve lieve
lenta lenta
bianca bianca
sulla terra vien la neve;
mille bianche farfalline
fanno il manto
alle colline,
mille candide farfalle
fanno ai campi
un bianco scialle.
Mille fiocchi immacolati
danno ai monti,
ai boschi, ai prati,
alle strade,
ai tetti, al suolo
un bellissimo lenzuolo.
I bambini guardan fuori
e non aprono più bocca
e la neve lenta lenta
scende scende
fiocca fiocca.

Un po' di quadri:
Van Gogh, l'ho visto alla mostra appunto "gli Impressionisti e la neve", direi bruttino anche se è il mio pittore favorito, ed era pure stato relegato in un angolino dietro una porta, per cui tutti chiedevano : ma c'era? dove?
A questo, ancora orrido, era stata data una stanza completa...Munch
Renoir



domenica 29 gennaio 2012

La neve

Yuko Akita aveva due passioni.
L'haiku.
E la neve.
L'haiku è un genere letterario giapponese. È una breve poesia di tre versi e diciassette sillabe. Non 
una di più.
La neve è una poesia. Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. 
Questa poesia arriva dalla labbra del cielo, dalla mano di Dio.
 
Ha un nome. Un nome di un candore smagliante.
Neve.
 
 
 
Il padre di Yuko era un monaco scintoista. Viveva nell'isola di Hokkaido, nel Giappone del nord,
dove l'inverno è più lungo e rigido. 
Insegnò al figlio la potenza delle forze del cosmo, l'importanza della fede e l'amore per la natura.  
 Gli insegnò altresì l'arte di comporre haiku.Un giorno dell'aprile 1884, Yuko compì diciassette anni.
 A sud, a Kyushu, cominciavano a fiorire i primi ciliegi. Nel Giappone del nord il mare era ancora gelato. 
L’istruzione etica e religiosa del ragazzo era ormai ultimata.
 Era venuto per lui il momento di scegliersi un mestiere. 
Da molte generazioni i membri della famiglia Akita si dividevano tra religione e esercito. 
Ma Yuko non voleva diventare né monaco né guerriero.“Padre,” disse il mattino del suo compleanno, in riva al
 fiume argentato, “voglio diventare poeta.”Il monaco aggrottò la fronte in modo quasi impercettibile ma tuttavia
 rivelando una delusione profonda. Il sole si rifletteva nelle increspature dell'acqua.
 Un pesce-luna passò tra le betulle e poi svanì sotto il ponte di legno.“La poesia non è un mestiere. 
È un passatempo. Le poesie sono acqua che scorre. Come questo fiume.” 
Yuko tuffò lo sguardo nell'acqua silenziosa e lesta. 
Poi si voltò verso il padre e disse: “È esattamente quello che voglio fare.
 Imparare a guardare il tempo che scorre.”
 
 
 La neve è una poesia. Una poesia di un candore smagliante. 
In gennaio ricopre la metà settentrionale del Giappone. 
Lì dove viveva Yuko la neve era la poesia dell'inverno. 
Contro il volere del padre, nei primi giorni del gennaio 1885 Yuko intraprese la carriera di poeta.
 Decise di scrivere solo per celebrare la bellezza della neve. Aveva trovato la propria strada. 
Sapeva che quella vita sfolgorante non l’avrebbe mai stancato. 
 Nei giorni di neve prese l'abitudine di uscire assai presto di casa e incamminarsi verso la montagna.
 Per comporre le sue poesie andava sempre nello stesso posto.
 Si sedeva a gambe incrociate sotto un albero e rimaneva così per ore e ore, vagliando in silenzio le diciassette 
sillabe più belle del mondo. Poi, quando infine sentiva di possedere la sua poesia, la vergava su carta di seta.
 Ogni giorno una nuova poesia, una nuova ispirazione, una nuova pergamena.
 Ogni giorno un paesaggio diverso, una luce nuova.
 Ma sempre l'haiku e la neve. Fino al calar della notte.Rientrava sempre per la cerimonia del té. 
 
  Due hayku di Basho
 
 Verrà quest’anno la neve

che insieme a te

contemplai?
 
 
 
 
La prima neve! 

  appena da piegare 

  le foglie dell'asfodelo 
 

giovedì 26 gennaio 2012

Antichi mestieri : le prefiche.

"Vicino al feretro piangevano, urlavano, si strappavano i capelli, simulavano svenimenti, con un gusto tragico ancora vivo in certi paesi del sud, alcune donne che mai, in vita loro, avevano avuto rapporti con il defunto.
Dietro di loro, in mesto e composto silenzio, sfilava la famiglia colpita dal lutto: non una lacrima, non un sospiro in quei visi austeri e compassati. L’onere di dimostrare il dolore era stato appaltato alle prefiche, donne prezzolate per piangere."

Fin dal tempo dei Greci e poi dei Romani si ritrovano queste abitudini.
Le Prefiche erano  donne pagate per piangere ai funerali. Nel corteo funebre, precedevano il feretro stando dietro i portatori di fiaccola: con i capelli sciolti in segno di lutto e cantavano lamenti funebri e innalzavano lodi al morto, accompagnate da strumenti musicali, a volte graffiandosi la faccia e strappandosi ciocche di capelli.
Un'abitudine che ha incominciato a scomparire non molto tempo fa, ma forse ancora usata in Sicilia.
In Sardegna, dove si conservano ancor oggi usi e costumi antichi, il momento più caratteristico, più solenne degli usi funebri sardi è quello in cui le prèfiche (attitadoras ), con poesie estemporanee (attitos), tessono le lodi del morto.
....le attitadoras però non cantano per mestiere, non sono vendilacrime qualunque come lo furono le piagnone greche e romane.
La prèfica sarda appartiene, quasi sempre, alla famiglia dell'estinto e, pur non essendo parente di lui, non accetta mai, per la pietosa opera sua, alcuna ricompensa, tranne in caso di esrema povertà; il suo canto, ispirato veramente dall'affetto e dal dolore,si eleva spontaneo,e appassionato fra i gemiti ed i singhiozzi, ai quali fanno eco tutte le donne che circondano il cadavere.
 Ma è stata presente fino al '52 una figura molto più lugubre e nascosta chiamata " Accabadoras", pare che fosse una donna che esercitava il pietoso ufficio di soffocare gli agonizzanti perché essi non soffrissero inutilmente.
Arrivava sempre di notte, vestita di nero e col capo coperto, entrava sola nella stanza del malato e faceva quello che veniva chiamato "un atto umanitario".
Questa è la prova che si trova nei musei sardi, il martello usato dall'accabadora insieme al cuscino.
Discorsi sussurrati sul fare della sera , racconti narrati dalle vegliarde, una realtà forse non ancora scomparsa.


 per sdramattizzare un po'.......

mercoledì 25 gennaio 2012

Antichi mestieri : il maniscalco - la mascalcia


Il maniscalco, mestiere strettamente legato alla vita contadina, è scomparso dalla realtà economica dei nostri paesi e se ne conserva soltanto il ricordo, anche se esiste ancora, ma si è trasformato sia nel modo di lavorare che nell'essenza del lavoro.
Infatti all'epoca, esso non era solo colui che ferrava cavalli e buoi, ma era anche una persona che conosceva bene gli animali e non solo poteva operare ferrature che aiutavano il cavallo , ma al tempo stesso era una specie di veterinario, infatti a volte era l'addetto alla castratura e a risolvere problemi medici, infatti se il cavallo non mangiava era lui che pareggiava i denti oppure era sempre lui che lo tosava in estate e che con rimedi a volte empirici riusciva a risolvere piccoli e grandi problemi.
Era anche un buon conoscitore di cavalli, se questo era docile gli bastava tenerlo per le redini o per la cavezza, se invece era irascibile, gli metteva intorno al muso la mordacchia (turcemòsse) e la pastoia (pastore) alle zampe.
Il maniscalco poi poggiava la zampa del cavallo su uno sgabello o sulla propria gamba e con uno scalpello (tagghiature) gli toglieva le punte dei chiodi ribattuti sopra l'unghia, toglieva la muraglia dello zoccolo con l'incastro (rògne) e contemporaneamente provava a mettere sotto l'unghia il nuovo ferro. Quando si assicurava che la sua misura era ottimale, lo inchiodava prima con un chiodo centrale e dopo, man mano, con gli altri provvisoriamente.
Infine conficcava otto chiodi con il martello e con la tenaglia tagliava le punte lasciandone un po' per ribatterle sull'unghia, per fissare meglio lo zoccolo.
I suoi strumenti non erano molti.


L’arte della mascalcia termina intorno agli anni '50, quando le tecnologie hanno permesso di intraprendere strade senz’altro più moderne e all’avanguardia e forse più facili.
Pensiamo solo un attimo al fatto che i ferri rappresentavano un qualcosa di veramente importante tanto che erano marchiati in modo da identificarne la provenienza. La forgiatura è un’arte unica... Far combaciare perfettamente l’orlo plantare con la faccia superiore del ferro, appoggiato ancora rovente sul piede dell’animale, comporta un’operazione di grande ingegno. Non si può sbagliare o provocare scottature pericolose... Importante anche l’operazione a freddo (quasi l'unica usata attualmente) attraverso la quale era possibile fabbricare il ferro adatto all’animale senza poter intervenire successivamente. In questo caso l’abilità dell’uomo è tutto. Esiste tutto un mondo nuovo dietro a questi cultori del ferro... la loro arte si crea sulla pazienza e sull’ingegno.
Ricordo molto bene un maniscalco che ho conosciuto, col suo logoro grembiule di cuoio, il martello e i chiodi che teneva nell'angolo della bocca, un po' rozzo e sboccato, ma che riusciva a mettere in quadro un cavallo con gli zoccoli malati e con l'andatura "gobba", una figura passata alla storia.

giovedì 19 gennaio 2012

I giorni della merla

Il 29-30-31 Gennaio, i giorni statisticamente più freddi dell'anno, vengono chiamati, almeno in Piemonte , "i giorni della merla" e sono nate varie storie che cambiano poco fra di loro.
La più semplice narrava solo che una merla preoccupata per i suoi piccoli si infilò in un camino e vi rimase finchè Febbraio col suo pallido sole le permise di uscire e che si trovò con il piumaggio annerito dalla fuligine ( vedi post dello spazzacamino, non sarà stato pulito male?) e così rimase.
Vi sono anche versioni più tristi in cui non vi è il lieto fine, ma questa mi pare la più carina.
Intanto il freddo è aumentato e penso che non solo le merle si ripareranno nei camini.

un altro antico mestiere

che forse nessuno pensa più è quello della lavandaia.

La lavandaia lavava i panni dei signori che potevano permettersi di noleggiare la "lavatrice umana".
In antica epoca la lavandaia lavava i panni nel torrente con qualsiasi tempo e temperatura, inginocchiata nell'erba.Andava prima per le  famiglie a raccogliere i panni sporchi da lavare e poi si portava al torrente per iniziare la sua opera.Dopo aver finito di lavare, i panni venivano stesi sull'erba ad asciugare.
I ferri del mestiere erano la cenere del camino "a liscivia" ,l'acqua del torrente e tanto "olio di gomito" per strofinare e sbattere sulle pietre del torrente i panni.
Spesso era necessario far bollire la biancheria sporca ed a questo proposito venivano preparate le "caurare" cioè grandi pentoloni dove venivano bolliti i capi più grandi e resistenti (lenzuola, tovaglie), in questo modo si otteneva la sterilizzazione del bucato e, sopratutto, l'eliminazione dei parassiti (acari, cimici, pulci) un tempo molto presenti ed infestanti nelle abitazioni.
Questo mestiere duro e faticoso, ora fortunatamente scomparso con l'avvento delle lavatrici, permetteva alle donne, sopratutto vedove o sole, di sbarcare il lunario, aumentando il magro reddito delle campagne.
Non sempre il torrente era vicino ed allora a volte si costruivano dei "lavatoi di pietra" in cui era possibile lavare, un'inaspettata comodità.


Ma la lavandaia, almeno nell'immaginario collettivo, era una persona felice che
cantava a gola spiegata ed insieme alle altre pareva trascorrere un tempo felice, non un lavoro massacrante.



martedì 17 gennaio 2012

Lo Spazzacamino

un po' ironica come canzone, anche perchè questo mestiere ormai dimenticato , anzi sostituito dal "tecnico dei fumi della caldaia", era quasi sempre fatto da bambini che meglio si infilavano nei camini che per la maggior parte non erano grandissimi.
Nelle valli del Piemonte e Val d'Aosta venivano "affittati" alle famiglie e portati in giro a lavorare, altro che occupazione giovanile e sfruttamento....


Lo spazzacamino ( in genere un padrone adulto col suo ragazzino-apprendista chiamato "gogn") aveva i suoi ferri del mestiere: oltre al tipico cappello nero, avevano la caparuzza (il sacchetto che mettevano in testa per ripararsi dalla fuliggine mentre risalivano il camino), la raspa e il brischetin (lo scopino), il riccio (l’attrezzo con le lame di ferro a raggiera usato per raspare le canne fumarie quando non poteva entrare il bambino a raspare a mano), la squareta (la canna con in cima il riccio) ed infine il sach (il sacco per riporre la fuliggine raccolta), ma il lavoro pesante consisteva nel risalire il cmino a piedi nudi e mentre saliva grattava le tre pareti che aveva davanti e al fianco (lavoro duro e pesante perchè la fuligine della lega diventava dura e difficile da togliere), arrivato in cima sul tetto urlava a squarciagola per avvisare che era arrivato in cima, poi tornava giù e ripuliva anche la quarta parete.
Per chi non aveva l'apprendista era un po' più difficile, perchè si usava far scendere una fune dal camino sul tetto a cui veniva legata una fascina di sterpi o il "riccio" di ferro, si chiudeva il camino con un'asse nella casa e lo spazzacamino sul tetto tirava su la fune che "grattava" via la fuligine.

Ci sono anche delle parti poetiche di questo mestiere, una è un pezzo del libro Cuore di Edmondo De Amicis...  

" Di fronte alla porta della scuola, dall’altra parte della via, stava con un braccio appoggiato al muro e colla fronte contro il braccio, uno spazzacamino, molto piccolo, tutto nero in viso, col suo sacco e il suo raschiatoio, e piangeva dirottamente, singhiozzando. Due o tre ragazze della seconda gli s’avvicinarono e gli dissero: - Che hai che piangi a quella maniera? - Ma egli non rispose, e continuava a piangere. - Ma di’ che cos’hai, perché piangi? - gli ripeterono le ragazze. E allora egli levò il viso dal braccio, - un viso di bambino, - e disse piangendo che era stato in varie case a spazzare, dove s’era guadagnato trenta soldi, e li aveva persi, gli erano scappati per la sdrucitura d’una tasca, - e faceva veder la sdrucitura, - e non osava più tornare a casa senza i soldi. - Il padrone mi bastona, - disse singhiozzando, e riabbandonò il capo sul braccio, come un disperato. Le bambine stettero a guardarlo, tutte serie. Intanto s’erano avvicinate altre ragazze grandi e piccole, povere e signorine, con le loro cartelle sotto il braccio, e una grande, che aveva una penna azzurra sul cappello, cavò di tasca due soldi, e disse: - Io non ho che due soldi: facciamo la colletta. - Anch’io ho due soldi, - disse un’altra vestita di rosso; - ne troveremo ben trenta fra tutte. - E allora cominciarono a chiamarsi: - Amalia! - Luigia! - Annina! - Un soldo. - Chi ha dei soldi? - Qua i soldi! - Parecchie avevan dei soldi per comprarsi fiori o quaderni, e li portarono, alcune più piccole diedero dei centesimi; quella della penna azzurra raccoglieva tutto, e contava a voce alta: - Otto, dieci, quindici! - Ma ci voleva altro. Allora comparve una più grande di tutte, che pareva quasi una maestrina, e diede mezza lira, e tutte a farle festa. Mancavano ancora cinque soldi. - Ora vengono quelle della quarta che ne hanno, - disse una. Quelle della quarta vennero e i soldi fioccarono. Tutte s’affollavano. Ed era bello a vedere quel povero spazzacamino in mezzo a tutte quelle vestine di tanti colori, a tutto quel rigirìo di penne, di nastrini, di riccioli. I trenta soldi c’erano già, e ne venivano ancora, e le più piccine che non avevan denaro, si facevan largo tra le grandi porgendo i loro mazzetti di fiori, tanto per dar qualche cosa. Tutt’a un tratto arrivò la portinaia gridando: - La signora Direttrice! - Le ragazze scapparono da tutte le parti come uno stormo di passeri. E allora si vide il piccolo spazzacamino, solo in mezzo alla via, che s’asciugava gli occhi, tutto contento, con le mani piene di denari, e aveva nell’abbottonatura della giacchetta, nelle tasche, nel cappello tanti mazzetti di fiori, e c’erano anche dei fiori per terra, ai suoi piedi."

la Favolosa Mary Poppins!

lunedì 16 gennaio 2012

Project Knit Big at Stitches East 2011




questo è davvero knitting estremo altro che vecchi mestieri

L'impagliatore di sedie

Forse perchè stavo osservando una vecchia sedia impagliata dove stava sempre seduta la mia mamma (non so perchè dal momento che ne aveva altre più comode e divano e poltrona) fino a pochi giorni prima di andarsene...
divagazioni....comunque mi è venuto in mente questo vecchio mestiere che oggi è quasi in disuso. Infatti in cucina io pure ho moderne sedie di arte povera impagliate che spero dureranno per sempre perchè non saprei dove trovare un artigiano del genere.



La tecnica dell’impagliatura è un arte molto antica che trova le sue radici in Italia ed in Europa, in una delle più tipiche tradizioni contadine.
Per l’impagliatura delle sedie vi erano diversi metodi d’intreccio, 
In base alla tecnica adoperata venivano usati determinati tipi di materie naturali, tra queste vi erano : l'erba di palude, le foglie di mais, paglia di segale, midollino,paglia di riso, la paglia di Vienna ed altri prodotti simili.
In Sardegna era molto usato il falasco (ancor oggi per la ricopertura di capanne), una pianta erbacea della zona mediterranea, un'erba palustre.

La procedura ancora oggi è quella di lasciare per una notte immersi nell’acqua, i fasci di paglia o di erba raccolti, in modo che si presentino più elastici e plasmabili al momento della lavorazione.

domenica 15 gennaio 2012

Mentre siamo in tema di ...



animali, eccone uno appena finito....è un cavallino che ho fatto per un'amica di mia figlia (a cui è morto il vero che si chiamava appunto Ramon).
Mi piace molto e quasi mi dispiace ...lasciarlo andare via, ma ho la casa abbastanza affollata di questi...gadget, chiamiamoli così!

sabato 14 gennaio 2012

I segni dello zodiaco cinese


http://www.segnizodiacalicinesi.com/ 
 
OROSCOPO CINESE

L'astrologia cinese è divisa in 12 segni zodiacali che riportano il nome di un animale. A differenza dell'oroscopo adottato in occidente, che deriva dalla storia greca, ad ogni segno zodiacale viene attribuito un anno.
La legenda racconta che il Buddha, sentendo la morte avvicinarsi, chiamò a raccolta tutti gli animali della terra, ma solo 12 di loro andarono a salutarlo. Come premio per la loro fedeltà decise di chiamare con i loro nomi le fasi lunari e renderli così immortali.
Il primo ad arrivare fu il topo, veloce e furbo, il secondo fu il diligente bue, seguito dall'intrepida tigre e il pacifico coniglio. Il drago fu il quinto, seguito da suo fratello minore, il serpente. Il settimo fu l'atletico cavallo, seguito dall'elegante pecora. Subito dopo arrivò l'astuta scimmia, seguita dal colorato gallo, il fedele cane e infine il fortunato maiale, che fece appena in tempo a salutare il Buddha.


http://giochigrandi.com/chinese-zodiac-signs.html 


Ho scoperto che in casa siamo una tigre, un cane ed ho pure un drago come l'anno in corso.


venerdì 13 gennaio 2012

Capodanno cinese



non coincide con il nostro e quest'anno cadrà il 23 gennaio 2012.
Sarà l'anno del  Drago ( ) che  è l'unica creatura mitologica dello Zodiaco cinese. In Cina, i draghi sono associati alla forza, alla salute, all'armonia e alla fortuna; vengono posti al di sopra delle porte o sui tetti per bandire i demoni e gli spiriti maligni.
È vistoso, attraente e pieno di forza e vitalità. In Cina, il Drago è il simbolo del potere e della ricchezza.
Durante gli anni del Drago sono nati più bambini rispetto agli altri anni.

 Hokusai e i suoi Draghi

A partire da questa data, le festività durano per quindici giorni, concludendosi con la tradizionale festa delle Lanterne.
Le origini del capodanno cinese risalgono ad una leggenda secondo la quale nella Cina antica viveva Nian, un mostro che usciva dalla tana solo una volta all'anno, e l'unico modo per sfuggirgli era terrorizzarlo con il rumore e il colore rosso.
Per questo motivo anche la Festa delle Lanterne o Festa di primavera si portano o si appendono all'esterno lanterne rosse, per aiutare gli spiriti benevoli, o si fanno regali avvolti in carta rossa.

giovedì 12 gennaio 2012

una piacevole sorpresa...

stamattina è arrivato un pacchetto...la conclusione dello swap di Natale, sono rimasta piacevolmente sorpresa.
Ecco cosa c'era dentro :
 Un bel filato per fare...una sciarpina forse o qualcosa che mi verrà in mente e poi tanti tovagliolini per il decoupage, mi piacciono molto perchè sono davvero carini.
Un insieme natalizio di grmbiule, presina e strofinaccio.
la piacevole sorpresa mi è stata inviata da :
Katia