sono cresciuta in città, in periferia dove la città si stemperava con la campagna, ho vissuto corse nei prati, giochi tra i covoni di fieno, serate illuminate dalle lucciole,la scampanellio dei "campanoni" di mucche e pecore...però qualche volta sono stata in vacanza, al mio paese di origine a non molti km da Venezia con l'odore del mare e del fiume.

All'arrivo la cosa che mi colpiva di più era sempre l'argine del Piave, allora era semplicemente una cosa "inquietante", quella strada di terra che correva sull'argine e che degradava da un lato nel fiume, le reti tirate a secco (le baeanze o bilance)
quella strada che ho imparato, con l'incoscienza della gioventù, a percorrere velocemente sulla bicicletta, pedalando in piedi perchè il sellino era occupato da una cugina (che condivideva quei "brividi" con me).
Si pedalava, dandosi il cambio, fino ad arrivare al ponte, il ponte di barche, che non potevamo attraversare, sia perchè era a pagamento e poi perchè divideva due paesi, quel ponte (che aveva sostituito il barcone per attraversare) ha ancora la sua "gabella" (euro 0,50) , è un ponte privato , si arrivava fino all'imbocco, ci si fermava, no, il bagno non si faceva, troppi gorghi che avevano portato via tante giovani vite, era tassativamente proibito ( e questo "proibito" lo rispettavamo) e poi si ripartiva in bilico, si fa per dire, sull'argine in cerca di qualcosa da fare...tipo...giocare a nascondino, direte ...il solito...eh no, perchè si giocava a nascondino in mezzo al granoturco...avete idea di cosa significasse? chi era sotto, lo era per tutto il pomeriggio, perchè è impossibile trovare qualcuno nascosto in mezzo.
A volte c'erano gli alberi da frutto, pieni di "magici" ...fichi (io li adoravo), ma non ho mai imparato ad arrampicarmi, ahimè...e allora dovevo accontentarmi di quello che mi rifilavano quelli che invece a salire erano capaci e non arrivavano certo i più buoni, ma si potevano mangiare senza lavarli, senza paura di anti-parassitari o altro.
Certi pomeriggi si trovava solo un posto al fresco , magari all'ombra dei filari delle viti, ci si sedeva e si parlava, ci raccontevamo le nostre vite (allora così giovani e tutte con davanti un futuro lunghissimo...), i nostri sogni, i nostri desideri , il "cosa farò da grande"...poi si tornava a bere la limonata che si trovava fatta a casa e poi si faceva sera e mentre gli adulti chiaccheravano davanti casa cercando un po' di fresco, noi andavamo in giro, a piedi , a scoprire il crepuscolo e poi il buio, che non faceva paura, ma che portava comunque un po' di mistero nelle cose quotidiane.
Poi, stanche, ma con la consapevolezza di aver passato una bellissima giornata si andava a dormire...
Le mie vacanze....quello che non mi facevo mai mancare era una puntatina alla panetteria, no, non per mangiare qualche prelibatezza, ma...c'è stato in un periodo che il panettiere aveva acquistato una macchina molto innovativa e a me piaceva tantissimo vedere quello che faceva. Era un enorme macchinario (secondo la mia visione di bambina) in cui veniva infilata la pasta del pane e lui ti sfornava piccole pezzature a cilindro tutte uguali, che poi il panettiere sapientemente univa , una sopra l'altra, per creare un pane tiico del Veneto : il "montasù".

...aveva un profumo " divino", una crosticina croccante e l'interno morbido e pesava un etto, infatti si compravano a pezzi, non a peso, era la mia merenda, la mia colazione e i miei spuntini....
Non so se lo fanno ancora, probabilmente si, ma io mi ricordo ancora il profumo uscente dal negozio che avvisava che era stato sfornato....